Guardando agli eventi più recenti riguardanti l’ipotesi di Rete Unica nazionale, caratterizzata da un’integrazione tra FiberCop, la rete secondaria di Tim, e Open Fiber, sembrerebbe che l’interesse del Governo sia quasi “congelato”. Ma come scrive Federico De Rosa in un articolo pubblicato il 7 maggio nella rubrica L’Economia del Corriere della Sera: In realtà nessuna strada è preclusa e, al di là di quella che sarà la strategia del governo sulle reti, a essere caduta è l’impostazione politica (o «imprinting») che era stata data all’operazione dal governo Conte, sparita con lo scambio del campanello a Palazzo Chigi. L’agenda post-pandemia di Mario Draghi non si occupa di rete unica. E il ministro dell’Innovazione, Vittorio Colao ha fatto capire chiaramente di avere l’esclusivo interesse a portare la banda ultralarga in tutto il Paese entro il 2026, indipendentemente dalla tecnologia con cui si realizza. Dunque l’interesse di Tim e Open Fiber a mettere insieme le proprie reti adesso prescinde dalla strategia del governo sulle reti. È, insomma, una scelta.
Ricordiamo che il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” assegna circa 40 miliardi alla digitalizzazione, di cui le reti rappresentano la parte centrale. L’impostazione del Ministro Colao punta su fibra, 5G e tecnologie miste (FWA, satellite) per fare più in fretta. Sottolinea ancora De Rosa nel suo articolo: Dalle ultime rilevazioni emerge che in Italia la copertura complessiva raggiunge il 58% dei civici italiani con velocità di almeno 30 Mbp, al netto dei servizi degli operatori che utilizzano la tecnologia mista nelle aree a fallimento di mercato (aree bianche) e delle connessioni di Tim nelle aree ad intervento diretto. Restringendo l’osservazione alle aree grigie e nere – dove la domanda è alta e media – la quota sale all’82,3%. Il digital divide è ancora piuttosto ampio. Le risorse per costruire la rete ultraveloce saranno assegnate con bandi pubblici, come è accaduto finora (in alcune zone era concessionaria unica Open Fiber), e dunque con un processo competitivo in cui potranno partecipare tutti gli operatori di rete. Escludere che Tim e Open Fiber possano ritenere più efficiente unire le forze e fare fronte comune per contribuire ad azzerare il digital divide, invece che duplicare gli investimenti e farsi concorrenza sulla rete, non ha dunque una relazione diretta con il PNRR. La rete unica resta un progetto concreto, che certamente adesso ha bisogno di verifiche e di trovare un percorso se davvero ci si vuole arrivare. E il governo sarà direttamente interessato avendo impegnato la Cassa Depositi e Prestiti su entrambi i fronti visto che CDP sta per salire al 60% di Open Fiber e ha il 10% di Tim.
Dal 2018 per due volte è stata firmata una lettera di intenti per tracciare il percorso della rete unica, prima tra Enel CDP e Tim, poi l’anno scorso solo tra le ultime due. La prima volta, nel 2018, il dialogo si è arenato molto presto, la seconda ci ha messo un po’ per partire, poi dopo la due diligence, si è fermato tutto in attesa delle determinazioni dell’Enel, che dopo essersi chiarita le idee ha messo in vendita il suo 50% di Open Fiber. Ancora De Rosa: La scorsa settimana il consiglio del gruppo elettrico ha deciso di cedere il 10% a CDP e il 40% a Macquarie uscendo dalla partita per la rete unica. Adesso è la Cassa lo snodo centrale avendo il 60% della società della fibra e il 10% di Tim. L’interesse di due fondi internazionali come KKR e Macquarie è legato anche al progetto di integrazione delle reti, ma a determinate condizioni e con obiettivi di rendimento in linea con quelli dei fondi. Tra qualche settimana ci sarà la prima importante verifica. Il 27 maggio è in programma l’assemblea della CDP che dovrà rinnovare il consiglio e dalla scelte dei nomi si potrà capire qualcosa di più sull’orientamento del governo che attraverso il ministero dell’Economia è azionista di maggioranza della Cassa.