Uno dei temi su cui si interrogano gli scienziati robotici e dell’intelligenza artificiale è la possibilità di arrivare un giorno a macchine in grado di pensare e “sentire” come l’uomo. L’argomento è appassionante e le opinioni al riguardo distinguono in sostanza due schieramenti: coloro che ritengono possibile un’intelligenza delle macchine paragonabile a quella umana e coloro che, invece, la considerano totalmente irrealizzabile. A questa seconda schiera appartiene un italiano a cui tutti dobbiamo moltissimo. È Federico Faggin, colui che ha progettato e realizzato, agli inizi degli anni Settanta, il primo microprocessore della storia, l’Intel 4004. In occasione della presentazione del suo libro dal titolo “Irriducibile” al festival Letterario di Mantova, dedica attenzione alle considerazioni di Faggin La repubblica, con un articolo a firma di Eleonora Chiuda, pubblicato lo scorso 8 settembre: “Siamo esseri spirituali, temporaneamente imprigionati in un corpo fisico simile a una macchina. Ma siamo molto più di una macchina. Siamo coscienza, entità infinite. Irriducibili”. Federico Faggin, il più grande inventore italiano vivente, padre del primo microprocessore, creatore della tecnologia touch prima di Steve Jobs, oggi si avventura in una nuova rivoluzione. Dopo anni di studi e ricerche ha capito che nell’essere umano c’è qualcosa di irriducibile, qualcosa per cui nessuna macchina potrà mai sostituirci. E Irriducibile è il titolo del suo nuovo libro (Mondadori), che sarà presentato al Festival Letteratura di Mantova il 10 settembre. “Per anni ho cercato di capire come la coscienza potesse nascere da segnali elettrici o biochimici – racconta nel corso di un lungo colloquio -. Segnali che possono produrre solo altri segnali, non sensazioni e sentimenti. La coscienza è irriducibile. Ossia non si può definire con concetti più semplici. È la coscienza che comprende, prova sentimenti ed emozioni. Senza questo sentire, saremmo robot. La macchina non sente. Non risponde se non è stata programmata. Invece noi dobbiamo impegnarci per trovare le risposte, dentro e fuori di noi. A partire dalla domanda principale: chi siamo?”.
Come sottolinea l’articolo, nel suo libro Fagginavanza l’ipotesi che l’universo abbia coscienza e libero arbitrio da sempre, concetto che lo scienziato sintetizza nella frase: “La materia è l’inchiostro con cui la coscienza scrive l’esperienza di sé”. Siamo realtà quantistiche che esistono in una realtà più vasta dello spazio-tempo, che contiene anche la realtà fisica. Cosi ancora bell’articolo: “Noi siamo infiniti, entità coscienti che vogliono conoscere sè stesse. Per farlo abbiamo bisogno di vivere esperienze in cui capire chi siamo attraverso il nostro comportamento”. C’è però un problema alla base di questa rivoluzione. Noi stessi. “Non vogliamo vivere nella realtà, ma nell’illusione dei social che inebetiscono. Non educhiamo i nostri figli a capire chi sono. Pensiamo che le macchine siano meglio di noi. È vero che un chip fa un miliardo di moltiplicazioni al secondo mentre noi ne facciamo una al minuto. Ma se pensiamo di essere meno delle macchine ci facciamo mettere nel sacco da chi le controlla dalla porticina dietro.