Europa: è tempo di regole per gli algoritmi

La ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale è molto concentrata su Usa e Cina. Il Vecchio Continente dovrebbe fare valere le sue capacità tanto a livello normativo quanto di mercato.

Difendere la proprietà intellettuale e allo stesso tempo stabilirne i confini per liberare la concorrenzialità e le conoscenze: in questa dualità si colloca molto del dibattito (e degli scontri fra potenze governative ed economiche) sul futuro dell’intelligenza artificiale. Ne parla L’Economia del Corriere della Sera con un articolo pubblicato il 15 marzo a firma di Isabella Austoni, Gustavo Ghidini e Daniele Manca.
Di sicuro nell’era digitale, il ruolo dell’Intelligenza artificiale (AI) sarà centrale e dominante – e destinato a ulteriore sviluppo grazie ai computer quantistici – pressoché in tutti i settori industriali e commerciali, nelle pubbliche amministrazioni e nella Difesa. È un settore dove per ottenere risultati è richiesto un volume ingente di investimenti, soprattutto in ricerca e sviluppo. La sola Cina ha dichiarato di voler spendere in AI 150 miliardi di dollari entro il 2030. Tanto per avere un termine di paragone, i soli fondi di venture capital negli Stati Uniti hanno canalizzato nel settore nel 2020 qualcosa come 10 miliardi di dollari. Paesi più avanzati nel settore, come i due appena citati, sovvenzionano potentemente la ricerca, soprattutto per scopi militari (pare che il 50% di tutte le spese sull’Intelligenza Artificiale sia destinato a quei fini). Un po’ come accadde all’origine per Internet.
Sempre nell’articolo si sottolinea come l’Europa per recuperare il terreno perduto su questo campo deve definire e meglio e al più presto delle regole. L’esempio virtuoso è quello riguardante le norme sulle privacy, campo nel quale la UE ha fatto da battistrada mondiale.
Nella storia della scienza e della tecnica, chi realizza tecnologie fortemente innovative (disruptive, com’è di moda dire, con una locuzione di sapore schumpeteriano) prima o poi deve chiedere protezione giuridica contro i… copiatori a sbafo (free rider). Questi, non avendo svolto attività di ricerca né impiegato ingenti risorse e investimenti, possono riprodurre e mettere sul mercato i risultati conseguiti dall’innovatore a un prezzo tale da estromettere dal mercato stesso chi deve recuperare il costo di quelle attività di ricerca e di quegli investimenti. Con l’ovvia conseguenza di disincentivare i futuri potenziali innovatori. Per dormire sonni più tranquilli, quindi, i più accorti operatori (anche) del settore della AI cercano la protezione giuridica più forte, quella appunto assicurata da un diritto escludente esercitabile erga omnes: brevetto e copyright.
Come si ricorda ancora nell’articolo, la tutela di proprietà intellettuale e la stessa politica di sviluppo dell’Intelligenza Artificiale sono state oggetto di diverse critiche e contestazioni, alcune sul piano tecnico-giuridico altre su quello dell’etica. Qui, in particolare, molti si preoccupano che le politiche di sostegno, diretto (finanziamenti) e indiretto (protezione di PI), sappiano evitare i rischi di applicazioni della IA in contrasto con i diritti umani e la utilità sociale. Un’altra obiezione punta il dito contro la monopolizzazione della conoscenza ad opera del brevetto: conoscenza che specie nell’era digitale, si dice, dovrebbe circolare in modo più aperto. Gli articolisti sottolineano a questo proposito: L’obiezione ignora che, all’opposto, i brevetti al top dell’innovazione (essenziali) vengono dall’antitrust assoggettati a licenze non esclusive. Di più: il brevetto stesso è congegnato in modo di garantire la conoscenza pubblica dell’invenzione, attraverso una descrizione tanto estesa da consentirne la piena comprensione (anzi, la attuazione): e che pertanto, come ricordato nel precedente articolo, dovrebbe comprendere sia il procedimento algoritmico sia i dati con i quali il robot è stato nutrito dai suoi creatori. Questa descrizione, da allegarsi alla domanda, è resa pubblica dopo 18 mesi da quest’ultima (un termine, peraltro, che dovrebbe essere ragionevolmente modulato: troppo lungo per un nuovo farmaco, adeguato per un nuovo giocattolo). In tali modi, dunque, si può generare un processo di trasparenza che è alla base del progresso della scienza e della tecnologia, della leale concorrenza e, in ultima analisi, del benessere collettivo.

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