In occasione del Centenario dalla fondazione di Sparkle, erede della grande tradizione di Italcable, fondata nel 1921 e prima azienda a posare un cavo transoceanico fra l’Argentina e l’Europa, l’attuale AD dell’azienda, Elisabetta Romano, ha concesso un’intervista a Il Sole 24 ore, a cura di Monica D’Ascenzio, evidenziando il suo pensiero sulla fase di forte trasformazione delle imprese, sollecitata prima di tutto da robotica e digitalizzazione.
«La sfida attuale è in una società italiana che opera a livello internazionale e questo mi inorgoglisce. È una sfida di trasformazione culturale, non solo legata ai sistemi e ai processi». Trent’anni nel settore delle telecomunicazioni, IT e media e la metà della carriera all’estero, tra Belgio, Svezia e Silicon Valley. Elisabetta Romano, nata a Milano ma cresciuta ad Avellino come tiene a sottolineare, dal luglio 2018 fa parte del gruppo TIM, prima come chief technology officer, poi come head of chief innovation & partnership dal novembre 2019 e infine dall’agosto 2020 ricopre il ruolo di amministratrice delegata di Telecom Italia Sparkle, operatore globale del gruppo che fornisce servizi TLC wholesale, con una rete proprietaria in fibra che si estende per circa 600mila km attraverso Europa, Africa, le Americhe e Asia.
Le radici e la storia aziendale vanno rispettate, ma è necessario guardare al futuro: «C’è un’inerzia della macchina che è complicatissimo far evolvere. Anche solo a cominciare dalla terminologia. Per trasformare un’azienda devi agire sull’aspetto culturale. Ci sono persone che sono in azienda da lungo tempo e bisogna capire che solo cambiando si può migliorare, altrimenti si sopravvive ma non si cresce».
Come lei stessa ricorda nell’intervista, dopo l’esperienza tecnica in Alcatel, la carriera è proseguita in Ericsson, dove è entrata nel 1998 e nel 2012 è diventata head of operations support systems con sede a Stoccolma e nel 2015 head of TV & Media, con sede a Santa Clara, California. Alcuni giorni fa la manager ha ricevuto un nuovo premio, il “Telecommunication Woman of the Year” nel corso della cerimonia dei Carrier Community Global Awards tenutasi a Berlino. Il premio è stata l’occasione giusta per sottolineare il suo pensiero in merito alle sfide italiane, che ora richiedono una spinta verso il futuro più accentuata dopo la pandemia: «Abbiamo bisogno che i giovani vadano a fare esperienza all’estero. Sono cervelli che devono aprirsi all’altro, evolversi e crescere per unire i punti di forza italiani a quelli appresi all’estero. Lasciarli andare vuol dire avere una classe dirigente di tutto rispetto in futuro quando torneranno (…). La materia prima c’è, i giovani vanno aiutati. Sono state fatte cose per semplificare ma va fatto di più. Ci vogliono persone che lo abbiano fatto all’estero e bisogna creare posti di aggregazione, coaching, mentorship. All’estero viene insegnato fin dai primi anni di scuola a saper fare un progetto e a presentarlo. Se la scuola non si evolve in questa direzione, è necessario che li si aiuti a sviluppare le intuizioni». L’innovazione è sempre più necessaria anche nelle aziende più tradizionali e la pandemia ha accelerato anche il cambiamento dell’organizzazione del lavoro. «Io sono molto esigente, ma empatica allo stesso tempo. Guido con l’esempio». Ama definire così il suo stile di leadership in un momento storico in cui anche i modelli di management vengono messi in discussione e si cerca di disegnare un nuovo identikit di manager più adatto a un mondo del lavoro più flessibile e in continua evoluzione.