La “nuvola digitale” è in pieno sviluppo e coinvolge direttamente “l’economia dei datacenter”. I servizi cloud (+18% nel 2022) alloggiano in edifici specifici che fanno da volano di innovazione e di occupazione per i territori. La continua crescita di gestione e archiviazione dei dati sta determinando uno sviluppo senza precedenti proprio di data center, in ambito pubblico e privato. Nonostante la crisi energetica e le incertezze socio-economiche, la domanda di data center in tutta Europa è in forte espansione. Essendo strutture energivore, si cerca inoltre di trovare l’equilibrio tra maggiori capacità di servizio/forniture e organizzazione maggiormente “green”.
Dedica attenzione al tema il quotidiano Il Sole 24 ore, con un articolo a firma di Antonio Dini, pubblicato lo scorso 13 novembre: L’Italia dei comuni si sta scoprendo sempre più l’Italia dei datacenter. Nel nostro Paese cresce sistematicamente il numero di infrastrutture per l’elaborazione dei dati e per la loro distribuzione tanto che non si può più parlare di poli isolati, ma di sistema. Indipendenti ma, per la natura stessa della rete, tra loro interconnessi. I centri di calcolo, come venivano chiamati un tempo, sono di diversi tipi. Alcuni di proprietà di singole aziende, altri di fornitori di servizi e un buon numero dei big hi-tech che sono poi i fornitori di servizi cloud e dei centri “edge” di ridistribuzione dei contenuti. Ma ci sono anche i supercomputer delle università e dei centri di ricerca pubblici e privati più quelli della pubblica amministrazione, delle telco e delle utility. Insomma, l’Italia si sta sempre più attrezzando per essere più digitale e, secondo il profilo che si vuole guardare, il numero cambia anche in maniera radicale: da più di trecento nell’ipotesi più “inclusiva” a circa 83 divisi in 33 aree diverse secondo l’analisi del 2020 di Data Center Map.
Come sottolineato nell’articolo de Il Sole 24 Ore, l’economia che si muove attorno ai datacenter è molto articolata, creando modelli propulsivi anche per l’indotto, aziende di servizi ma anche start up e centri di ricerca: Alla fine si tratta di ambienti altamente automatizzati che non hanno bisogno di un numero elevato di addetti. Però “illuminano” i territori e favoriscono l’aggregazione di piccole aziende innovative che dalla prossimità traggono vantaggio operativo. Secondo una ricerca del Politecnico di Milano, citata nell’articolo, anche il mercato dei produttori di cloud in Italia continua a crescere: Nel 2022 segna un +18% a 4,56 miliardi. Anno su anno i top spender sono state le Pmi, che al 52% utilizzano almeno un servizio cloud (+7%). La tipologia di cloud più usata è quella dei Public & Hybrid Cloud, ovvero l’insieme dei servizi forniti da provider esterni e l’interconnessione tra le nuvole pubbliche (aperte a tutti gli utenti) e quelle private (con computer dedicati a una sola azienda). È qui che c’è la crescita più significativa, con una spesa di 2,95 miliardi con una crescita del +22% spalmata sui diversi tipi di servizi utilizzati, guidati dal cloud come piattaforma (+33%).
Il trend è globale, ma l’Italia è spinto dal fattore ritardo. Come ricorda l’articolo, sono entrati nel nostro mercato tutti i Big tech (da Amazon a Google sino a Microsoft) ma il futuro non è statico. Vi è poi anche il progetto del cloud nazionale: entro il 2025 dovrà contenere il 75% dei dati degli uffici pubblici italiani, che oggi sono parcheggiati in 11mila centri di calcolo (spesso poco più di un server da ufficio) che, secondo l’Agenzia per l’Italia digitale, sono praticamente tutti (il 95%) a rischio cybersecurity per dotazioni insufficienti, ma anche per affidabilità e capacità elaborativa.